giovedì 29 aprile 2010

In memoria di Sergio Ramelli



Sergio Ramelli (Milano, 6 luglio 1956 - Milano, 29 aprile 1975) giovane studente milanese simpatizzante del Fronte della Gioventù, è una delle più famose vittime delle violenze degli anni di piombo.
Proveniente da una modesta famiglia (il padre era barista in un bar milanese), Sergio era un normalissimo ragazzo, appassionato di calcio e membro della squadra di calcio del quartiere.
Frequentava con profitto l'Istituto Tecnico Molinari di Milano, e, sino all'ultimo anno, aveva avuto ottimi rapporti con i compagni di classe, tanto da venir punito per aver passato alcuni compiti.
All'inizio degli anni '70 all'Istituto Molinari, così come in molti istituti milanesi ed italiani in generale, la normale vita studentesca era pesantemente condizionata dalla presenza di gruppi della sinistra extraparlamentare nati all'indomani della protesta studentesca del '68.
In particolare all'Istituto Molinari aveva assoluta egemonia politica e numerica Avanguardia Operaia, organizzazione studentesca della sinistra extra-parlamentare, che aveva instaurato un clima di costante prevaricazione all'interno della scuola.
Sergio Ramelli, forse in reazione al clima di terrore instaurato nell'istituto, inizia ad avvicinarsi politicamente alla destra e si iscrive al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano.
Il suo orientamento politico divenne noto ll'inizio del quinto anno, quando il professore di lettere, prima di assentarsi dall'aula, assegnò alla classe di Sergio lo svolgimento di un tema libero: Ramelli decise di svolgere il tema sulle Brigate Rosse. I capi di Avanguardia Operaia bloccarono lo studente incaricato di consegnare i compiti al professore e, dopo essersi fatti consegnare con la forza il tema di Ramelli, lo affissero alla bacheca della scuola.
A tale episodio seguì, durante un'assemblea, una sorta di "processo politico" in cui Ramelli venne "condannato" a lasciare l'Istituto Molinari: da questo momento si scatenò una vera e propria persecuzione ai danni di Sergio Ramelli, con insulti e minacce quotidiane.
Il 13 gennaio 1975 Ramelli fu circondato in strada da 80 studenti e costretto a cancellare con della vernice delle scritte inneggianti l'MSI apparse sul muro esterno del Molinari; sempre nello stesso mese Luigi Ramelli, il fratello poco più grande di Sergio, fu aggredito da 2 giovani armati di chiavi inglesi che probabilmente lo avevano scambiato per Sergio.
In seguito a questi avvenimenti i genitori di Sergio decisero di trasferirlo dall'Istituto Molinari ad un istituto privato: il 3 febbraio 1975 Sergio si recò con il padre nella presidenza del Molinari per richiedere il nulla osta al trasferimento. Gli studenti di Avanguardia Operaria si disposero in due file lungo il corridoio che portava della presidenza e, una volta uscito Sergio, lo assalirono con calci a pugni fino allo svenimento e malmenando anche il padre ed il preside che lo scortavano.
Oltre che all'Istituto Molinari e in altre scuole superiori, Avanguardia Operaia era presente in buon numero anche all'interno delle facoltà dell'Università degli Studi di Milano: inoltre proprio all'interno dell'università tale gruppo esprimeva il suo massimo livello di organizzazione con la suddivisione in gruppi aventi diverse finalità.
Fra tali sottogruppi di Avanguardia Operaia si distinse il cosidetto "Servizio d'Ordine", un vero e proprio gruppo armato che, come si evinse dal processo Ramelli e da altri processi similari, dietro la bandiera dell'"antifascismo militante" si produssero in intimidazioni, pestaggi, lesioni di varia gravità ai danni di esponenti e semplici militanti della destra milanese, in scontri con le forze dell'ordine, nonchè in assalti, devastazioni ed incendi a sedi dell' MSI e a bar e a ristoranti ritenuti luoghi di ritrovo di persone di destra.
« Sergio andava a fare la spesa o scendeva in un bar qui vicino, poi tornava a casa all'una esatta per il pranzo.Fu proprio questa sua abitudine, la puntualità nel tornare a casa, a perderlo »
(Anita Pozzoli Ramelli, madre di Sergio)
Verso la fine del febbraio 1975, Roberto Grassi, universitario ex studente del Molinari e personaggio influente all'interno del "Servizio d'Ordine" di Avanguardia Operaia, iniziò a parlare di una azione punitiva ai danni di Ramelli con Marco Costa, nuovo leader della squadra del Servizio d'Ordine presso la Facoltà di Medicina.
In una successiva riunione, Grassi e Costa comunicarono al resto della squadra di Medicina l'assegnazione del compito di picchiare Ramelli: a tale scopo il Grassi, poichè nessuno della squadra conosceva Ramelli, consegnò loro una foto "segnaletica" di Sergio, scattata durante l'episodio della cancellazione delle scritte.
Il compito di eseguire gli appostamenti, per scoprire le abitudini di Sergio Ramelli e indicare al resto del gruppo dove e quando colpire, fu affidato a Brunella Colombelli.
Il 13 Marzo 1975 in gruppo si riunì in via Celoria per prepararsi alla spedizione. A tale incontro parteciparono:
• Roberto Grassi con il compito di fornire e distribuire chiavi inglesi e sbarre di ferro al resto del gruppo.
• Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo, con il compito di aggredire materialmente Ramelli sprangandolo con le chiavi inglesi.
• Franco Castelli, Luigi Montinari, Claudio Scazza, Gianmaria Costantino, Claudio Colosio,e Antonio Belpiede con il compito di presidiare gli incroci del tratto di strada dove verrà aggredito Ramelli, evitare eventuali fughe del Ramelli e impedire un eventuale soccorso da parte di altri militanti di destra e/o passanti.
Successivamente il gruppo si recò nei pressi dell'abitazione di Ramelli.
Verso le 13, come era solito fare, Sergio rientrò, parcheggiò il motorino in una via attigua alla propria abitazione e si diresse verso casa.
Costa e Ferrari Bravo si lanciarono verso il Ramelli ed incominciarono a menare forti colpi al viso e alla testa con le chiavi inglesi precedentemente ricevute dal Grassi. Forse, ma il successivo processo non riuscì a chiarirlo, a loro si aggiunse anche il Costantino.
Il pestaggio durò alcuni istanti, dopodichè il gruppo di Avanguardia Operaia scappò, vanamente inseguito da un passante che aveva assistito alla scena; si diressero verso le aule occupate dell'Università ove ripulirono le chiavi inglesi e i vestiti dal sangue di Ramelli.
Sergio, esanime in una pozza di sangue con materia grigia fuoriuscente dal cranio, venne soccorso dalla portinaia del suo stabile, richiamata dal trambusto dell'aggressione; in seguito venne trasportato in ambulanza al Policlinico di Milano.
Giunto all'ospedale in condizioni critiche, Ramelli fu sottoposto ad un intervento chirurgico della durata di 5 ore: nonostante l'operazione le condizioni di Sergio rimaawro gravi e, vista l'entià delle lesioni, i medici affermarono che anche se si fosse ripreso, sarebbe rimasto comunque muto.
All'operazione seguirono 47 giorni in cui Ramelli lottò fra la vita e la morte, alternando lunghe fasi di incoscienza a brevi momenti di lucidità.
Proprio in seguito ad uno di questi momenti di lucidità sui quotidiani si sparse la voce, falsa, che il Ramelli avesse fatto i nomi dei suoi aggressori: lo stesso giorno un gruppo di studenti di estrema sinistra si appostò sotto casa dei Ramelli e aggredì Luigi, intimandogli di lasciare entro 48 ore la città "altrimenti farai la fine di tuo fratello!"
Il 28 aprile un corteo sempre di studenti di estrema sinistra si avviò verso l'abitazione dei Ramelli e, ivi giunto, coprì i muri esterni con scritte e manifesti carichi di insulti e minacce.
Verso le ore 10 del 29 aprile Sergio Ramelli morì per complicanze respiratorie dovute alla lunga degenza.
« Non è questa l'Italia per cui ho combatutto! Questa non è un'Italia nè libera, nè democratica!»
(Fratel Bertrando, prete ex partigiano nei Volontari della Libertà, protesta contro il divieto della polizia di far eseguire i funerali di Ramelli in forma pubblica.)
L'avvocato della Famiglia Ramelli durante tutti i gradi del processo fu Ignazio La Russa.
Giovanni Leone, Presidente della Repubblica in carica, inviò una corona di fiori al funerale di Sergio Ramelli.
Per chi volesse approfondire la storia di Sergio consiglio:
- 1995 - Giorgio Melitton - "Per memoria di Sergio Ramelli"
- 2001 - Giraudo Guido - "Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura"
- 2001 - Indro Montanelli, Mario Cervi - "L'Italia degli anni di piombo"
- 2006 - Luca Telese - "Cuori Neri.Dal rogo di Primavalle alla morte di Ramelli"
PER NON DIMENTICARE LA STORIA DI SERGIO, PER RICORDARE UN PERIODO IN CUI NEL NOSTRO PAESE SI POTEVA MORIRE PER LE PROPRIE IDEE. PER CONDANNARE LA VIOLENZA, SEMPRE E COMUNQUE, QUALSIASI COLORE INDOSSI.

venerdì 23 aprile 2010

Io sto con Fini

Sarò breve e chiaro. Nella guerrà interna che in questi giorni sta lacerando il Popolo della Libertà, prinicipale partito nazionale che io voto, sostengo e nel quale milito, io sto dalla parte di Gianfranco Fini.
Sto con Fini perchè sono stanco di un partito dove decida tutto una sola persona, dove tutto è stabilito dall'alto, dove l'elettorato e la militanza non sono coinvolti ma considerati unicamente come un serbatoio di voti, dove chi non è d'accordo col grande capo viene cacciato in pochi istanti (dopo un lungo e brutale attacco mediatico da parte dei giornali e le televisioni di proprietà di Berlusconi), dove tutto il suo programma politico è incentrato sui problemi del suo leader e non su quelli del popolo italiano!
Reputo assurdo che il principale partito nazionale abbia un agenda politica dettata dal sempre più ingombrante alleato della Lega, che obbedisca a tutto quello che i signori in camicia verde ordinano, anche nelle circostanze più becere dove ci sono di mezzo bambini da nutrire (Adro) o da seppellire nei cimiteri (Udine), oppure quando si vuole far si che i medici denuncino i clandestini che si recano da loro per curarsi togliendo così il diritto alla salute che deve essere riconosciuto a qualsiasi essere umano! In queste ultime settimane sono arrivati addirittura a chiedere il sindaco di Milano e la candidatura del premier alle elezioni politiche del 2013 e questo è inaccettabile! Fini ha detto che non possiamo sottostare continuamente alla Lega, non dobbiamo farci sorpassare da loro su quelle battaglie che hanno sempre caratterizzato l'azione politica della destra come la sicurezza delle nostre città e la salvaguardia della nostra cultura nazionale, il PDL non parla più di queste cose da secoli ed è anche grazie a questo che la Lega ci ha rosicchiato sempre più voti fino a scavalcarci al nord... tanto ormai parliamo solo di Berlusconi e di come risolvere i suoi problemi!
Sto con Fini perchè voglio un partito pluralista, dove si affrontino i problemi del paese, dove si lavori per la gente, dove si cerchi e si offra all'elettorato un modello alternativo alla Lega la quale deve essere condiderata un alleato con cui cooperare con un programma comune e non come il nostro padrone, da contrastare se necessario nelle sue (frequenti) crociate populiste e totalmente senza senso! Sto con Fini perchè condivido il progetto di una destra moderna, pulita, onesta ed europea!
I suoi strappi col passato sono stati bocconi amari anche per me, però sinceramente allo stato attuale non vedo nessuno al di fuori di lui che possa gestire il partito in maniera alternativa a Berlusconi e alla sua concezione troppo cesaristica del potere, e sinceramente non sarebbe nemmeno una brutta cosa se rivalutasse il suo passato o almeno parte di esso perchè purtroppo nei confronti di noi militanti, la figura del traditore l'ha fatta da molto tempo!


giovedì 22 aprile 2010

sabato 17 aprile 2010

Confini di Marco Travaglio

Pur nella sfiga generale, gli elettori di centrodestra sono un filo meno sfigati di quelli di centrosinistra. Chi ama Berlusconi se lo tiene. Chi non lo ama vota Bossi. Chi non ama né Berlusconi né Bossi spera in Fini. Chi non ama né Berlusconi, né Bossi, né Fini, spera in Casini. In mancanza di un’alternativa credibile, il centrodestra s’è dato una struttura che contiene in sé un’ampia gamma di opzioni possibili: quella plebiscitaria, quella federal-separatista-xenofoba, quella nazional-repubblicana, quella gatto anzi cattopardesca. Dall’altra parte invece soltanto un campo di Agramante dove, per non scontentare nessuna identità, non c’è più alcuna identità. A parte quella di Di Pietro, che però stenta a uscire dall’orticello dell’Idv per parlare a tutto il centrosinistra. Tant’è che molti, nel centrosinistra, si son ridotti a sperare in Fini. Il quale, intendiamoci, è e resta una speranza. Per diventare o ridiventare una democrazia, l’Italia ha bisogno come del pane di un centrodestra normale, che faccia politica e non affari o reati, e Fini gli somiglia parecchio. Chissà che, mollando gli ormeggi da Arcore, non aiuti la nascita di un centrosinistra normale. Senza più Berlusconi a tenerlo in vita artificialmente, quel carrello di bolliti che è il Politburo del Pd potrebbe finalmente estinguersi e fare spazio a qualcosa di meno fossile. Hanno però ragione Flores d’Arcais e Galli della Loggia quando imputano a Fini di non aver ancora esplicitato chiaramente in che cosa consiste la sua Destra. Col rischio di prestare il fianco ai manganelli mediatici del Caimano, già da mesi impegnati a dipingerlo come un traditore succube delle “sinistre” e animato da sete di potere. Si tratta di calunnie, ovvio, ma nel regime mediatico non conta ciò che è vero. Conta ciò che “passa” dai media all’opinione pubblica. E i media sappiamo in che mani sono. Finora Fini s’è smarcato da Berlusconi su questioni cruciali e sacrosante, ma poco sentite dagli elettori di destra: fecondazione assistita, diritti degli immigrati e dei “diversi”, laicità, difesa delle istituzioni e della Costituzione. Sulle due ragioni sociali della politica berlusconiana – guerra alla libera informazione e alla magistratura indipendente – ha detto cose giuste, ma troppo balbettate. Soprattutto in occasione delle leggi vergogna, contestate a mezza bocca ma poi sempre votate. Sappiamo bene che non dipende da questioni ideali o programmatiche la fuga di molti (ex?) finiani da Fini nel momento del divorzio da B.: chi sta col padrone d’Italia ha soldi facili, poltrone a volontà, comparsate televisive e soffietti sulla stampa amica (cioè quasi tutta). Ma se Fini uscisse allo scoperto sventolando le bandiere della libera informazione e della legalità contro mafie, corruzione ed evasione fiscale potrebbe attrarre, o almeno far riflettere, molti elettori di centrodestra e, di riflesso, molti eletti. Le questioni sono caldissime. La critica ai cordoni stretti di Tremonti sarebbe più efficace se unita a un grande piano contro corrotti ed evasori, che consentirebbe di recuperare enormi risorse da destinare alle vittime della crisi (chi ha perso il lavoro e chi paga troppe tasse al posto di chi non le paga). Un codice etico per i partiti e i politici, che faccia finalmente piazza pulita dei condannati e dei compromessi (ieri il pg di Palermo ha chiesto 11 anni di carcere in appello contro Dell’Utri per mafia), rinverdirebbe la nobile tradizione della destra legalitaria in cui si riconobbero, in anni lontani, Ambrosoli e Borsellino. L’altro giorno Fini ha chiamato Gino Strada per parlare dei tre volontari arrestati-rapiti dalla polizia segreta di Kabul. La difesa dei “nostri ragazzi” impegnati sui fronti di guerra non può limitarsi al saluto militare. Visto che il governo traccheggia, il presidente della Camera potrebbe raccogliere l’idea semplice e chiara di Di Pietro: o il presidente fantoccio di Karzai ci restituisce subito i nostri connazionali, oppure le nostre truppe lasciano l’Afghanistan. L’orgoglio nazionale si difende anche così. Da destra.

Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'


domenica 11 aprile 2010

Grazie Dio di avermi fatto della Lazio

Tratto da: www.lalazioinrete.com

In giornate come queste mi sento ancora più fiero di essere Laziale. Il telefonino non smette di vibrare, perennemente illuminato da una valanga di messaggi di pseudo tifosi della Roma che fino a due settimane fa probabilmente non sapevano neanche cosa fosse il gioco del calcio. Per strada le borate che si vedono hanno un qualcosa di divertente. Leggo gli sms che mi arrivano, guardo dalla finestra queste scene tristi, eppure perdonatemi ma non riesco ad essere arrabbiato. Mi rode per la situazione. Vorrei una Lazio diversa, vorrei una Lazio più grande, vorrei una Lazio in grado di farmi vibrare il cuore per qualcosa di più importante rispetto ad uno scontro salvezza vinto alla grande in quel di Bologna. Vorrei una Lazio con un altro presidente, vorrei una Lazio in grado di farmi guardare al futuro con ottimismo e non con amarezza, vorrei una Lazio in grado di farmi tornare a sognare e non a pensare che l'anno prossimo sarà probabilmente come questo se non peggio.

Ma guardando loro invece di provare rabbia materializzo sul mio viso l'ombra di un sorriso. Un ghigno beffardo, quasi divertito. Sì, in giornate come questa ringrazio ancor di più mio Padre, il destino e Dio per avermi fatto scegliere questi colori. Per avermi fatto abbracciare un ideale. Per avermi fatto diverso. Non so se migliore o peggiore, semplicemente diverso. Noi siamo un'altra cosa, noi siamo un popolo che c'è stato c'è e ci sarà sempre, in Serie B con nove punti di penalizzazione o nel Principato di Monaco davanti al Manchester degli invicibili. Noi siamo noi. Noi siamo i Laziali. Personaggi strani, quasi incomprensibili per chi non fa parte della nostra stirpe. Noi abbiamo vinto nel 1900, quando nove ragazzi hanno dato vita al nostro sogno. Abbiamo trionfato nel 1927, quando grazie all'operato di un grande uomo siamo rimasti in piedi, soli contro tutti, per dire no ad una fusione che invece ha dato vita, a tavolino, alla seconda squadra di Roma. Noi, più in generale, abbiamo vinto nel giorno in cui abbiamo scelto di abbracciare un ideale per non seguire la moda, di essere esemplari rari per camminare da soli, o in buona compagnia, a testa alta guardando con distacco e da lontano il gregge "cesaronico" che da un'ottantina d'anni è comparso nella città di Roma.

Noi siamo Laziali, noi siamo altra gente. Non abbiamo bruchi sul cruscotto da mettere o levare a seconda dei risultati, ma un carattere diverso e due coglioni grossi così, perchè sarebbe stato facile andare dietro alla massa e dicedere di diventare come tutti gli altri. Noi no. Io godevo a scuola quando ero in minoranza. E se il "dibattito" non era almeno uno contro tre nemmeno mi divertivo. E sono convinto che per te vale lo stesso, perchè se sei arrivato a leggere fino a questo punto hai capito benissimo quello che ti voglio dire. Li guardo sorridendo oggi, li guarderò dall'alto in basso anche domenica sera. Hanno una squadra più forte, possono vincere lo scudetto. Non importa. Io ho vinto dalla nascita, noi abbiamo vinto dalla nascita, e basta guardarli festeggiare stasera per rendersene conto. Testa alta e sguardo fiero. Oggi più che mai orgoglioso di essere Laziale. Testa alta e sguardo fiero. Oggi più che mai orgoglioso di non essere come loro.


giovedì 8 aprile 2010

Legittimo Impedimento: un grave errore!

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato il disegno di legge sul legittimo impedimento il quale prevede uno scudo processuale di 18 mesi per il Presidente del Consiglio e i suoi ministri. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato il 10 marzo scorso, entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Ovviamente sono soddisfatti governo e maggioranza per la firma del capo dello Stato. Durante l'ufficio di presidenza del Pdl, il presidente Silvio Berlusconi ha voluto ringraziare Napolitano dicendo : "ora avremo tre anni per governare in modo sereno", mentre il ministro Gianfranco Rotondi ha commentato che "Il legittimo impedimento è un atto di giustizia e non di protervia politica".
Altrettanto scontata la violenta reazione contraria del leader dell'IDV Antonio Di Pietro il quale ha lanciato l'idea di un referendum abrogativo per questa legge che a suo parere limita l'ugualianza dei cittadini di fronte alla legge, mentre la reazione del PD è stata decisamente più moderata nei confronti del Capo dello Stato ma altrettanto decisa nei confronti della legge: il partito infatti ha da una parte espresso pieno rispetto per la decisione del Presidente Napolitano ma per bocca del senatore Giuseppe Lumia, responsabile giustizia del PD, ha definito questa legge l'ennesimo provvedimento che prova come il governo e la maggioranza si muovano non nell`interesse degli italiani e delle istituzioni ma solo per difendere il premier dai processi.
Secondo la mia personale opinione, questa legge è stata un grave errore da parte del governo, perchè a parer mio limita eccessivamente l'ugualianza dei cittadini di fronte alla legge rendendo il Presidente del Consiglio e i suoi ministri una specie di "casta nella casta" composta da un insieme di superuomini liberi di agire come vogliono e senza dover tenere conto a nessuno delle loro azioni, anche se sbagliate.
Il mio commento non è particolarmente fantasioso, lo ammetto, ma queste poche parole semplici ed efficaci rendono abbastanza chiara l'idea che non solo io ma molti cittadini italiani eprimono già da ora ed esprimeranno a breve su questa legge, ed aggiungo che mi tocca in parte concordare col le parole del senatore Lumia perchè sono stanco che il governo nazionale da me votato e sostenuto continui a pensare a provvedimenti che riguardano direttamente la fiducia del Presidente Silvio Berlusconi e che sono parecchio distanti dalle esigenze dei cittadini vittime della crisi e che non aspettano altro che chi dovrebbe aiutarli lo faccia veramente e in maniera efficace!
Ritengo che se un uomo di Stato reputa che i suoi guai giudiziari possono essere d'intralcio nel suo lavoro governativo, egli non debba accantonare i processi bensì lasciare i suoi incarichi di rappresentanza (magari a persone che problemi con la legge non ne hanno) e mettersi nelle mani della legge e dei giudici i quali stabiliranno la sua colpevolezza o la sua innocenza... NON IL CONTRARIO! Ho detto un'altra banalità? Beh, vi sfido a dire che sbaglio a dire certe cose!